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"Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute"
"Non basta prevedere la malattia per guarirla, occorre insegnare la salute per conservarla"
Ippocrate IV secolo a.C
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sabato 17 novembre 2012

Dieta iperproteica

Prima di partire a spiegare cosa succede seguendo un’alimentazione iperproteica, spieghiamo brevemente cosa sono le proteine.
La loro funzione principale è quella plastica (ricostruzione muscolare), in particolari condizioni hanno anche una funzione energetica; questo avviene durante attività fisica impegnativa di lunga durata (ciclismo o maratona) oppure durante regimi alimentari altamente ipocalorici. In questi casi gli aminoacidi (quelli contraddistinti dalla catena R) vengono degradati per fornire l’energia necessaria.
In una dieta equilibrata l’apporto proteico giornaliero si attesta sul 15-20% delle calorie totali (i carboidrati il 55-60% ed i grassi il 20%) senza mai superare la soglia di 0,9/1,2 gr per Kg di peso corporeo; in una dieta iperproteica quest’ultimo valore viene portato fino a 2,2 gr per Kg di peso corporeo (considerate che in atleti professionisti si arriva al massimo a 2,5 gr per Kg, ma in questo caso si capiscono anche i motivi).
Dopo questa breve spiegazione della funzione delle proteine, passiamo a spiegare cosa succede in questi regimi alimentari.
La beffa maggiore, se non bastassero i danni, sta nel fatto che queste diete a basso contenuto o talvolta addirittura quasi prive di carboidrati non fanno diminuire la "massa grassa", cioè i depositi di "ciccia" oggetto di desiderio di chi inizia una dieta "dimagrante", ma riducono il peso corporeo facendo perdere l’acqua e la massa muscolare del nostro organismo.
Per questo motivo è impossibile resistere ad osservare a lungo una dieta iperproteica priva di carboidrati. Appena si riprenderà a mangiare zuccheri e carboidrati, si recupereranno i chili presi. E' metabolismo stesso ad essere alterato. Smettendo di assumere carboidrati è come se  venisse inviato al cervello un messaggio di dover integrare le riserve energetiche, non appena queste riprenderanno a essere riempite. Il  risultato? L’accumulo e la ripresa di chili in eccesso.
Quando il nostro organismo si trova a dover fare i conti con una dieta a basso contenuto di carboidrati, non è in grado di utilizzare, e quindi non consuma, i grassi che ha depositato come riserva energetica nel tessuto adiposo, e tantomeno gli zuccheri (Glicogeno) di deposito.
Vengono invece intaccate le proteine introdotte con gli alimenti e parte delle proteine costituenti il muscolo: dalla loro demolizione vengono ricavati gli aminoacidi ramificati necessari per sintetizzare il glucosio, utilizzato poi a fini energetici.
Il risultato di questo intricato processo è il mantenimento dell’adipe, cioè del grasso sottocutaneo e di quello viscerale, e la perdita della massa muscolare.
Queste trasformazioni metaboliche producono inoltre molti "scarti" (Acido Urico ed altri Acidi fissi), che per non depositarsi a livello articolare vengono eliminati insieme al calcio ed elevate quantità di acqua attraverso le urine, modificando il metabolismo del calcio, rendendo così più rapido il cammino verso l’osteoporosi. Inoltre si possono verificare stati di astenia ed alterazione dei ritmi di sonno-veglia, per cui sarà più facile incorrere in problemi di insonnia.
Andando sotto stress per il superlavoro, i reni utilizzano i nefroni sottocorticali i quali si attivano solo nelle emergenze renali; motivo per il quale i danni renali derivanti sono irreversibili. Oltre a queste problematiche, il surplus di proteine e la carenza di carboidrati provoca la chetosi. E’ un’intossicazione da acetone; il corpo per disintossicarsi utilizza i liquidi presenti al suo interno in quanto i corpi chetonici sono idrosolubili.
In definitiva le diete iperproteiche hanno si, come risultato, un dimagrimento repentino ma a scapito della salute: disidratazione e danni renali li ritengo un ottimo motivo per non utilizzare questi regimi dietetici assolutamente pericolosi. Se vogliamo perdere peso utilizziamo una dieta equilibrata (con un apporto calorico adeguato alla propria persona) e pratichiamo attività aerobica almeno tre volte la settimana.
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venerdì 2 novembre 2012

Stretching

Stretching si, stretching no, stretching prima, stretching dopo, stretching quando? Questa attività di preparazione muscolare, da molti anni ha alti e bassi nella sua applicazione e divulgazione; tutto ciò è dovuto principalmente alla vasta bibliografia sull’argomento ed alle “mode” che lo hanno colpito negli anni.
Se vediamo lo stretching solo dal lato fisiologico (la classica domanda serve o no?), dovrei scendere in terminologie di difficile comprensione, per questo cercherò di essere il più chiaro possibile nell’esporre i vantaggi di questa pratica.
Storicamente le prime testimonianze di questa attività le ritroviamo in Cina e Tailandia, questo è dovuto al fatto che le principali discipline sportive praticate nel continente Asiatico erano e sono le arti marziali che necessitano di ottima elasticità muscolare.
In Italia la traduzione letterale del verbo to stretch (allungare, stirare) ha portato ad una sua cattiva comprensione ed applicazione: non dobbiamo vedere lo stretching come un semplice allungamento muscolare perchè è un’attività che coinvolge tutto il distretto muscolo-scheletrico. Per capire questa differenza pensiamo ai gesti naturali che, inconsapevolmente, eseguiamo nella vita quotidiana: gli stiramenti che si fanno in presenza di indolenzimenti (schiena, spalle o gambe) dovuti alla fatica;  non allunghiamo solo il muscolo, ma alleviamo la fatica coinvolgendo anche tendini ed ossa.
Da questo mini excursus si possono iniziare a comprendere i vantaggi della pratica: flessibilità muscolare, cioè aumento dell’escursione articolare (ricordate questo passaggio). Se manteniamo un buon livello di flessibilità possiamo migliorare la performance e prevenire gli infortuni (?????). Vi chiederete il perché dei punti interrogativi al fianco della prevenzione degli infortuni, il motivo è semplice: escursione articolare.
Attraverso lo stretching aumentiamo la flessibilità quindi la capacità di escursione articolare, ma non in tutti gli sport questo è sinonimo di prevenzione: dipende dal tipo di lavoro muscolare che si vuole svolgere.
Quando un muscolo viene allungato, i recettori muscolari segnalano uno stato di tensione da allungamento, questa è una sorta di difesa che evita stiramenti eccessivi, il cosiddetto overstretching, che possono causare uno strappo delle fibre muscolari. Per evitare queste complicazioni dobbiamo prima eseguire un buon riscaldamento e solo successivamente lo stretching, in modo da far cedere lentamente e fisiologicamente il muscolo. Così facendo aumentiamo il suo campo di lavoro attraverso la maggiore mobilità del distretto interessato dall’allungamento.
Da questa semplice spiegazione capiamo perché eseguire lo stretching prima di allenamenti di forza (body building ad esempio) può causare infortuni dovuti all’eccesso di mobilità. Pensiamo alle distensioni su panca piana con manubri: quando siamo nella fase negativa del movimento (braccio parallelo al terreno) raggiungiamo il massimo allungamento muscolare, a questo punto i ricettori muscolari ci segnalano il “pericolo” e impongono la spinta verso l’alto (fase positiva). Questo limite può essere alterato dallo stretching pre-esercizio in quanto aumentando il campo di mobilità aumentiamo il limite fisiologico; questo, specie negli esercizi massimali, può causare stiramenti o strappi muscolari.
Negli sport aerobici (ciclismo, running) o negli sport con elevati raggi di azione (arti marziali), lo stretching pre-attività è necessario proprio per il fatto che aumenta il “raggio di azione” delle articolazioni interessate.
Come vedete questa pratica sportiva è necessaria ed utile se fatta in modo corretto e comunque se preceduta da un adeguato riscaldamento muscolare (lo stretching non sostituisce il riscaldamento).  Al contrario lo stretching eseguito dopo la prestazione, sia essa di potenza che di durata, è utile e necessario a defaticare la muscolatura.
Non esiste un solo tipo di stretching, generalmente l’allungamento viene diviso in due metodi: il primo è statico il secondo è dinamico. Il metodo statico consiste nel mantenere la posizione per  un tempo che varia da 15 a 30 sec., il metodo dinamico è associato a movimenti più o meno rapidi. Entrambi i metodi possono essere eseguiti in modo attivo (contrazione dei muscoli antagonisti per allungare i muscoli agonisti) o passivo (eseguire i movimenti aiutati da attrezzi o coadiuvati da un partner).
STRETCHING BALISTICO
E’ il primo tipo di stretching conosciuto, non è più utilizzato perché è pericoloso in quanto sollecita il riflesso miotatico inverso. E’ un riflesso incondizionato che impone al muscolo, sottoposto ad una brusca tensione d'allungamento, a reagire con una rapida contrazione, aumentando il rischio di trauma muscolo-tendineo; motivo per il quale altri tipi di stretching sono preferibili a questo. La sua esecuzione è molto semplice: si arriva in posizione di massimo allungamento e poi si tenta di andare oltre questa posizione con un movimento brusco e violento.
STRETCHING DINAMICO
Lo Stretching dinamico prevede movimenti la cui escursione articolare aumenta progressivamente, così come la velocità d'esecuzione, da non confondersi con lo stretching balistico.
Si utilizza prevalentemente nel riscaldamento, è consigliato per sport caratterizzati da movimenti ad alta velocità in quanto migliora l’elasticità di muscoli e tendini. Il muscolo agonista, attraverso contrazioni veloci, allunga il muscolo antagonista (quello che vogliamo allungare).
Si esegue slanciando gambe o braccia in una direzione senza molleggi o dondolamenti, attraverso oscillazioni controllate, si arriva dolcemente e progressivamente ai limiti della propria capacità di escursione articolare (pensate alle oscillazioni alla sbarra degli arti inferiori nella danza classica).
STRETCHING STATICO
E’ il sistema di stretching più conosciuto, si esegue raggiungendo il punto di massimo allungamento lentamente in modo da non stimolare il riflesso da stiramento. Una volta raggiunta la posizione, va mantenuta per un tempo che può variare dai 15 ai 30 secondi, è fondamentale che durante l’allungamento non venga superata la soglia del dolore.
STRETCHING STATICO ATTIVO
Prevede posizioni di grande ampiezza articolare, il cui mantenimento avviene attraverso la contrazione isometrica dei muscoli agonisti, rilassando i muscoli antagonisti. Con questo tipo di stretching oltre a rendere flessibili gli antagonisti, rafforziamo gli agonisti attraverso la loro contrazione; la posizione va tenuta per non più di 10/15 secondi.
Contrazione isometrica: Quando un muscolo si contrae isometricamente si crea tensione senza accorciamento perché il carico è uguale alla forza muscolare, entrambi i capi del muscolo non devono essere in grado di muoversi. La tensione muscolare si sviluppa attraverso uno stimolo elettrico e non attraverso la contrazione.
In definitiva, lo stretching, può essere o la strega cattiva, o la fatina buona, dipende da come viene eseguito. Ricordiamoci che non sostituisce il riscaldamento muscolare, ma ne è parte integrante e deve essere calibrato sullo sport che viene praticato per aiutare ad accrescere le performance atletiche. Se si seguono questi semplici accorgimenti, miglioriamo la nostra vita sportiva e non incorriamo in infortuni che possono essere non solo fastidiosi ma anche dolorosi.
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lunedì 28 maggio 2012

L'estate e l'attività fisica

Con l’arrivo dei primi caldi, la maggioranza delle persone viene colta da sensi di colpa dovuti all’aspetto fisico; questo periodo solitamente coincide con la fine di maggio.
Avvicinandosi a questa data si vede il “fiorire” di atleti (il più delle volte improvvisati) che credono di modificare il loro aspetto fisico nel breve volgere di pochi mesi se non settimane. Questa smania il più delle volte è deleteria, ci si avvicina alla pratica fisica (solitamente corsa o bicicletta) non considerando le proprie capacità atletiche o vestendosi in modo inadeguato.
Si vedono persone che corrono o vanno in bicicletta sotto il sole a picco, grondanti di sudore ed al limite dell’infarto; manca solo che si ricoprano di domopack ed il gioco è fatto. Non è che sudando come mortadelle si perde peso (il sudore serve a raffreddare il nostro corpo), ma è con la corretta frequenza cardiaca e la costanza che si ottengono i risultati.
Iniziare a praticare sport è sempre salutare, ma per ottenere i risultati sperati bisogna attrezzarsi di tutto punto sia a livello di attrezzatura, ma anche a livello mentale.
La scelta dell’attrezzatura è fondamentale per allenarsi in modo corretto e non incorrere in fastidiosi infortuni, non dimentichiamo il cardiofrequenzimentro. Se scegliamo la corsa usiamo scarpe adeguate, nel ciclismo sono fondamentali: una bicicletta di medio livello, pantaloni, scarpe e sella. I pantaloncini devono essere provvisti del fondello (meglio se in gel), le scarpe di tipo tecnico (solitamente consiglio quelle da MTB) perché hanno la suola rigida che evita sollecitazioni a livello plantare, la sella deve essere specialistica soprattutto per i maschietti in modo da evitare sforzi a livello della prostata.
Come dicevo è importante la concentrazione perché bisogna sempre pensare a quello che si fa e come si esegue lo sport scelto. Bisogna essere consci delle proprie capacità, quindi adeguare lo sforzo che si vuole fare al nostro fisico: siamo costanti, aumentiamo l’intensità seduta dopo seduta. Questo ci permetterà di evitare fastidiosi infortuni che rischiano di vanificare i risultati che si ottengono di volta in volta.
Con i primi caldi l’attività fisica si inizia perché si vuole dimagrire (la famosa prova costume), per questo motivo la maggioranza delle persone cala drasticamente le calorie, introdotte evitando carboidrati e grassi, spostandosi sulle proteine, grosso errore. Ricordate: la corsa o il ciclismo sono attività aerobiche piuttosto dispendiose a livello calorico, per questo è necessario alimentarsi in modo corretto ed equilibrato senza rinunciare a nulla.
Consumiamo frutta e verdura, in modo da evitare gli integratori; beviamo molta acqua (almeno 4 litri al giorno se pratichiamo sport) e rimaniamo sempre idratati durante lo sforzo (almeno ½ litro di acqua ogni 30 minuti di attività), disidratare il nostro corpo allenandosi al caldo è più facile di quello che pensiamo. Per controllare il nostro livello di idratazione ricorriamo a questo semplice espediente: pesiamoci prima e dopo l’allenamento, la differenza che otteniamo è il liquido che non abbiamo integrato.
Curiamo anche l’abbigliamento superiore: utilizziamo indumenti freschi che facilitano la dispersione del calore corporeo, non alleniamoci nelle ore più calde e sotto il sole a picco.
Ricordiamoci che non serve a niente iniziare a muoversi a maggio per luglio, bisogna perseverare tutto l’anno, altrimenti per ottenere risultati in così breve tempo bisogna chiudersi in sauna per due mesi!!!!!!
Se facciamo attività fisica costantemente miglioriamo sì la nostra salute ma anche il nostro aspetto esteriore così, quando arriva l’estate,  abbiamo il piacere di scoprici, sopportiamo meglio il caldo e non dobbiamo ricorrere costantemente all’aria condizionata sottoponendo il nostro fisico a continui sbalzi di temperature.
In conclusione, fare sport diventa un piacere, perché i risultati che si ottengono dal punto di vista estetico sono maggiori della fatica e dell’impegno necessari.

martedì 24 aprile 2012

Piccoli consigli per l'attività fisica


Questo articolo è il riassunto di alcuni consigli che ho dato alle persone che si avvicinano all’attività fisica. Serve per capire come approcciarsi all’allenamento in relazione alla proprie caratteristiche fisiche, ricordando che è necessario rivolgersi ad esperti per non incorrere in errori che spesso provocano infortuni o problematiche fisiche gravi.
Cosa può fare una persona del tutto sedentaria e con tanti chili di troppo per iniziare a muoversi?
Il consiglio in questi casi è quello di rivolgersi a persone esperte in modo da essere seguiti correttamente. Comunque chi vuole iniziare può acquistare un attrezzo aerobico (bike, recline-bike, tapis-roullant o ellettica), partendo con un’attività molto leggera e non invasiva sulle articolazioni.
Come sempre è fondamentale acquistare anche il cardiofrequenzimetro, così da tenere controllata la frequenza cardiaca che deve rimanere entro certi range, in questo caso specifico tra il 60% ed il 70% della frequenza cardiaca massima.
Per calcolare il range allenante si applica la seguente formula:
220 – età = F.C. max
F.C. max * 0,60 = 60%
F.C. max * 0,70 = 70%
In ultimo se vi dovete rivolgere ad un professionista del settore, scegliete sempre persone che il primo incontro lo dedicano a voi per capire le vostre esigenze, trasmettendo sempre e comunque la passione per l’attività che svolgono.
Per gli addominali uso video di youtube, però sento il collo rigido e provo dolore. Come devo fare?
Allenarsi seguendo internet non è mai conveniente, perché i movimenti che vengono fatti non sempre sono corretti.
In questo caso specifico bisogna stabilire alcuni punti fermi: il muscolo addominale è uno solo (retto addominale) e per allenarlo è sufficiente un solo tipo di esercizio, il crunch. La sua esecuzione è molto semplice (può essere eseguito anche da in piedi), solitamente si sente dolore al collo perché viene irrigidito, per ovviare al problema, possiamo incrociare le mani dietro alle spalle in modo da sostenere la testa con gli avambracci. In alternativa possiamo incrociare le mani sul petto.
Esistono manuali seri, completi, ma anche chiari ed accessibili, ai non specialisti in modo da potersi allenare da casa?
Manuali o spiegazioni su come eseguire gli esercizi esistono, come puoi trovare di tutto su internet però io sono contrario.
L'allenamento deve essere "cucito" addosso alla persona come un vestito, bisogna conoscere chi si deve allenare, che problematiche ha a livello fisico, la sua forma fisica attuale, quale obbiettivi vuole raggiungere, cosa gli piace fare e quanto tempo ha a disposizione. Ma il fattore più importante è seguire la persona durante gli allenamenti, purtroppo eseguire un esercizio in maniera scorretta ti può creare grossi problemi a livello fisico.
Io mi sono specializzato nell'allenamento da casa anche per questo, per dare la possibilità di far fare attività fisica a tutti, riuscendo così a gestire i propri tempi. In questo modo non è la persona che si sposta (andare in palestra), ma è il personal trainer che si “muove”.
Se una persona molto obesa perde 50 chili in un tempo ragionevole, ed inizia da subito in maniera graduale a fare attività fisica, come potrà avere la pelle?
Si può raggiungere la forma fisica durante una dieta se l'attività fisica segue l'andamento della dieta,  quest'ultima deve consentire una perdita di peso settimanale non eccessiva (circa 800 gr a settimana
che corrspondono a circa 40 kg in un anno).Vuole dire che l'allenamento deve intensificarsi al calare del peso, perchè la fatica che viene fatta per eseguire gli esercizi diminuisce dimagrendo.
Per fare questo è necessario applicare alcuni accorgimenti: costruire una dieta con una percentuale di proteine un pò più elevata (senza mai esagerare perchè le diete iperproteiche sono pericolose) per consentire ai muscoli di non disgregarsi, eseguire l'attività aerobica in modo da utilizzare i grassi come carburante.
Ricordate una cosa: i risultati si ottengono solo con la costanza ed una buona dose di sacrificio, perché questi arrivano in tempi medio-lunghi. Concludendo se l'attività fisica è costante e la dieta non è invasiva ma graduale è sicuramente possibile non avere pelle in eccesso, l’importante è non avere fretta.
Io dopo la palestra/piscina faccio sempre sauna, bagno turco, solarium, acqua ghiacciata; ripeto il tutto tre volte. Per quanto tempo posso stare in sauna o nel bagno turco?
L'unico consiglio che ti posso dare è non esagerare.
Dopo aver eseguito attività fisica, prenditi del riposo ed esegui una delle attività che mi hai detto. Ti dico questo perchè sono attività che sottopongono il nostro apparato cardio-circolatorio, già "stancato" dall'attività fisica, ad un notevole stress. Il tempo di permanenza in sauna varia dai 10 ai 15 minuti, ricordando che questa attività comporta un notevole abbassamento della pressione (dovuto alla vasodilatazione provocata dal calore); i vantaggi di questa attività sono: rilassamento generale e muscolare.
Teniamo ben presente che non serve per dimagrire, poichè il peso corporeo che si perde sono liquidi che devono essere reintegrati al termine del ciclo di sauna. Quindi al termine della seduta reidratiamoci.
Io ho sempre praticato sport soprattutto corsa, pesi, poi mi sono data all'home fitness. Nel corso degli anni la cartilagine del ginocchio(uno è messo peggio) si è deteriorata. Ho provato con le infiltrazioni ma non sono servite, ora dovrò iniziare fisioterapia per riallineare la rotula. Continuo a fare attività fisica 4/5volte la settimana con cardiofrequenzimetro Polar. Volevo sapere se continuando, provoco danni ancora maggiori.
Il tuo problema, purtroppo, è irreversibile perché la cartilagine una volta deteriorata non è possibile ricostruirla. La causa di tutto può essere stato il lavoro svolto con i pesi in modo scorretto, sia nell’esecuzione degli esercizi che nel tipo di carico applicato.
L’attività fisica è assolutamente necessaria, per la parte superiore del corpo puoi continuare con il potenziamento, per la parte inferiore consiglio cyclette o recline-bike finchè farai fisioterapia. Successivamente, quando la situazione sarà migliorata, potrai passare al tappeto o all’ellittica se preferisci.
Se intendi praticare l’attività aerobica da casa, il consiglio è quello di attrezzarsi con macchinari di alto livello, Technogym in primis, perché la differenza di spesa (con la grande distribuzione) è dovuta anche alla ricerca biomeccanica fatta sull’attrezzatura. Caratteristica che evita fastidiosi infortuni nel corso degli anni.
La quantità di chili che si possono perdere da cosa dipende? Dal peso di partenza, dal tipo di metabolismo o dal fatto che ci siano o meno delle patologie che minano il dimagrimento. Chiedo questo perché un conto è perdere 10 chili, un altro è doverne perdere 50 o 70.
La componente principale è la volontà e quello che si vuole ottenere, le patologie o disfunzioni sono rarissime e il più delle volte ci si nasconde dietro a queste per negare il vero problema.
La patologia comporta una modificazione corporea anomala e va curata adeguatamente perché rientra nelle disfunzioni metaboliche, l’aumento di peso (anche di 60/70 chili) è dovuto ad uno stile di vita scorretto, che viene giustificato dall’impossibilità di perdere tanti chili con la dieta abbinata all’attività fisica. Questo si evince dal fatto che ad oggi molte persone ricorrono alla chirurgia per dimagrire (le stesse cose che ti dico le dice anche il Dott. Tesini, dietologo con il quale collaboro), senza abbinarla ad una dieta adeguata post-intervento ed a un cambiamento dello stile di vita.
Ci sono persone che hanno perso 60 kg senza ricorrere a nessun intervento, ma solamente con la dieta e l’attività fisica anche in presenza di una patologia come il diabete di tipo 2.
Il percorso non è breve (si parla di almeno 24 mesi) ed i sacrifici sono enormi, ma alla fine il risultato che si ottiene ripaga tutte le difficoltà.
Utilizzando il cardiofrequenzimetro, se all'ellittica sostituisco la camminata a passo svelto, è la stessa cosa?
Il tipo di attività aerobica che si pratica serve a raggiungere la giusta frequenza cardiaca allenante con piacere e divertimento. Se si vuole perdere grasso, l'importante è mantenere una frequenza cardiaca compresa tra il 65% ed il 75% della frequenza cardiaca massima per almeno 30 minuti (il tempo deve partire da quando si raggiunge la F.C. minima, in questo caso il 65%). Quindi è la frequenza cardiaca che fa l'allenamento, l'attrezzo che si usa è solo il mezzo per raggiungere lo scopo.
Per calcolare il range allenante si applica la seguente formula:
220 – età = F.C. max
F.C. max * 0,65 = 65%
F.C. max * 0,75 = 75%
Durante l'attività fisica si può bere, o è preferibile farlo appena finito. Io bevo semplicemente acqua e non integratori vari perchè a me disseta solo l'acqua. Dovrei comunque integrare qualcosa o l'acqua è più che sufficiente?
Durante l'attività fisica è necessario reintegrare i liquidi persi. Quindi è buona norma bere sia durante che dopo l'attività e comunque è consigliabile bere almeno 2 litri di acqua al giorno durante tutto l'anno (nei mesi più caldi portare il consumo giornaliero a 3 litri di acqua). Ovviamente le quantità indicate escludono i liquidi da assumere durante l'attività fisica. Per quanto riguarda gli eventuali integratori da usare sono necessari solo in caso di attività intensa, in generale basta consumare frutta nelle giuste quantità ed abbondante verdura.
Esistono dei contacalorie che indicano (orientativamente), le calorie perse con le varie attività?
Contacalorie precisi non esistono. Il consumo calorico dipende dai seguenti fattori: durata dell’attività fisica, frequenza cardiaca tenuta durante l’attività, dal peso e dal sesso (le donne consumano meno calorie degli uomini). Se si vuole la precisione massima bisogna ricorrere ad esami di laboratorio (Vo2max).
Per questi motivi bisogna attrezzarsi con un cardiofrequenzimentro, le marche migliori sono Polar o Garmin. Quest’ultima ha un indicazione del consumo calorico molto più precisa, almeno sui nuovi modelli, perché utilizza il seguente algoritmo: Algoritmo Firstbeat (Corrente – 2 ° generazione). L’algoritmo Firstbeat è la più accurata misurazione per dispositivi Garmin calorici che può essere fatta senza prove esterne. Ma in realtà non è sviluppato in modo nativo da Garmin. E’ sviluppato da una società Finlandese (Firstbeat Technologies), che ha le sue radici nei calcoli per atleti olimpici, in particolare lo sci nordico. Il loro calcolo utilizza variabili utente immesse tra cui sesso, altezza, peso e classe fitness. Esso combina poi questi dati con informazioni sulla frequenza cardiaca da ANT + (fascia di frequenza cardiaca). In particolare, si valuta il tempo tra i battiti cardiaci (battito) per determinare il valore MET (equivalente metabolico), che a sua volta viene utilizzato per determinare le calorie effettive. Questo rende il sistema uno dei più precisi (circa il 10% di scarto) senza ricorrere a test di laboratorio.
Se invece ti vuoi orientare sul Polar (ha comunque l’indicazione del consumo calorico ma con uno scarto maggiore).
Si può fare riferimento anche ai seguenti valori teorici (percentuali riferite alla F.C. max ovvero 220-età): 50 – 60 % 7,7 Kcal/min., 60 – 70 % 8,9 Kcal/min., 70 – 80 % 10,2 Kcal/min., 80 – 90 % 11,5 Kcal/min., Oltre 90 % 12,8 Kcal/min.
In conclusione non serve un contacalorie ma un buon cardiofrequenzimentro.
Vado in palestra ma non riesco a dimagrire, faccio Walking 3 volte la settimana (50 min. a lezione), preceduto da 30 min. di tappeto o cyclette. Il fatto che non perdo peso può dipendere dall’alimentazione squilibrata?
Approfitto della domanda per spiegare alcune cose. Le riflessioni che seguono, derivano dagli innumerevoli discorsi fatti con il Dott. Tesini, in merito agli insegnamenti e le abitudini che ci piacerebbe instillare nelle persone.
L’attività fisica e la dieta non devono essere fine a se stesse, non facciamole solo nel momento del bisogno (l’insorgenza di problematiche fisiche), ma abituiamoci a considerarle compagne di vita; la dieta usiamola come educazione alimentare e l’attività fisica per ottenere il benessere. Questo vuole dire che non dobbiamo “chiudere la stalla quando i buoi sono scappati”, agiamo preventivamente e nel caso rivolgiamoci a professionisti per avere i giusti consigli ed insegnamenti che poi faremo nostri per sempre.
Questo è quello che vogliamo fare (l’insegnamento alle corrette abitudini) per questo stiamo studiando diete abbinate all’attività fisica ritagliate sugli obbiettivi che il paziente vuole ottenere; sia per il dimagrimento ma anche per la pratica sportiva sia amatoriale che professionistica.
Per dimagrire con l’attività fisica, è necessario fare attività aerobica almeno tre volte la settimana, per 40 min. a seduta ad una frequenza cardiaca compresa tra il 65-75% della frequenza cardiaca massima (F.C. max = 220-età), il tempo deve partire da quando raggiungi la F.C. minima cioè 65%. Questo ritmo permette di raggiungere il perfetto equilibrio tra grassi bruciati e calorie consumante, senza fare fatica.
L’attività aerobica da praticare deve essere di tuo gradimento in modo da poter passare il tempo con piacevolezza; tra quelle che mi hai elencato, starei attento con il walking perché può essere pericoloso, in quanto l’infortunio o il sovraccarico articolare è dietro l’angolo.
Mi spiego: il tutto si svolge su una pedana meccanica inclinata, la camminata fatta per 50 min. in queste condizioni tende a sollecitare continuamente il ginocchio perché non si cammina tallone-pianta-punta ma pianta-punta (con maggiore sollecitazione del ginocchio). Questa condizione si verifica se si sfrutta la pedana normalmente, in una lezione ci sono altre variabili pericolose ovvero il movimento non simmetrico della camminata. In alcuni momenti una gamba rimane ferma sul bordo della pedana e l’altra che deve muovere il tappeto, questo movimento deve essere fatto correttamente altrimenti gli infortuni si possono verificare sia a livello articolare ma anche a livello della schiena, a causa della spinta sbilanciata che applichiamo.
Con questo non voglio dire che non va quello che fai, ma di prestare attenzione perché sei tu che devi capire il tuo corpo in ogni momento; se durate una lezione hai segnali (dolori) o non ti senti sicura del movimento, “allenta la presa” e vai con un movimento tranquillo.
Meglio qualche caloria bruciata in meno che un infortunio che ti ferma per qualche tempo.
Faccio attività fisica da più di 1 anno, ho iniziato con acquagym ed idrobike in abbinamento alla dieta, poi sono stata 5 mesi in sala pesi e adesso ritornata al vecchio amore in acqua. Il mio problema sono i crampi quando faccio sport in acqua, anche solo nuoto libero; dopo 20 minuti ho i crampi e non so che fare, va un pò meglio se prendo sali minerali con creatina e vitamine magari sorseggiando la bevanda durante la lezione. Questi problemi derivano dalla troppa attività fisica in relazione all’apporto calorico? Come mi devo comportare?
Praticare ginnastica in acqua può provocare problemi a livello articolare, non sai quante persone si rivolgono a fisioterapisti per recuperare da infortuni dovuti a questa attività.
Comunque è buona abitudine prima di eseguire qualsiasi attività, praticare stretching per preparare la muscolatura; questo va eseguito anche al termine dello sforzo. Ecco un modo per risolvere il tuo problema (che può derivare anche dalla temperatura troppo bassa dell'acqua), se tu hai notato benefici dall'assunzione di integratori multivitaminici (la creatina è eccessiva) prova a fare una cosa: consuma più verdura e frutta. Molte volte le nostre carenze derivano anche da un'alimentazione scorretta nei confronti dell'attività fisica.
L’abbinamento dieta attività fisica è importantissimo per ottenere i risultati desiderati, rimanendo sempre attenti a non esagerare nella pratica sportiva in rapporto alle calorie introdotte (ecco perché è necessario l’abbinamento dietologo-personal trainer). Se si eccede dimagriamo attraverso il catabolismo muscolare (in parole povere il corpo mangia i muscoli e non il grasso), si perde peso perchè diminuiscono i muscoli.
Raccomando sempre di prestare la massima attenzione alla ginnastica in acqua, perché l’acquagym ha alcune controindicazioni: la prima è che lo sforzo lo si ha sia nella fase di sollevamento che nella fase di rilascio (ritorno al punto di partenza), questo normalmente non avviene perché al momento del rilascio, l’arto interessato, ritorna nella posizione di partenza senza sforzo, grazie alla forza di gravità; la seconda è che il peso da spostare (in questo caso l’acqua) è distribuita su tutto l’arto coinvolto e non concentrata in punto solo, questo provoca una modificazione della leva necessaria al sollevamento, motivo per il quale le articolazioni non lavorano in modo corretto.
Nell’hydrobike la controindicazione principale è rappresentata dalla pedalata al contrario, le articolazioni (ginocchio in primis) eseguono un lavoro contrario alla loro struttura (fossimo degli aironi il discorso cambierebbe). Anche la pedalata in posizione eretta può essere pericolosa, dobbiamo controllare attentamente la posizione di tutto il corpo perché, a causa dello sforzo pressoché nullo (non è presente una massa regolabile), siamo portati a scomporci. Con la cyclette o la spin-bike questo non avviene perché con la resistenza che applichiamo al volano (che è regolabile), possiamo controbilanciare il peso del nostro corpo quando ci troviamo a “spingere” sui pedali.
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mercoledì 28 marzo 2012

Scarpe da running: come sceglierle

Con l’arrivo della bella stagione in molti sentono il desiderio di muoversi, l’opzione più facile (sportivamente parlando) è la corsa. Con questo non dobbiamo sottovalutare la scelta dell’attrezzatura. Per la parte superiore del corpo (maglietta e pantaloncini) abbiamo molta varietà e nessuna controindicazione riguardo la tipologia degli indumenti; l’unica raccomandazione è quella di indirizzarci su di un abbigliamento fresco soprattutto per la stagione più calda.
Altro discorso riguarda le scarpe, qui dobbiamo stare molto attenti perché non tutti i prodotti sono uguali e una scelta non idonea, può comportare infortuni o traumi che possono essere facilmente evitati con alcuni accorgimenti. Negli ultimi anni la tecnologia, in questo settore, ha fatto passi da gigante, consentendo a tutti gli atleti (dai professionisti ai principianti) di scegliere le scarpe più adatte alle proprie caratteristiche.
QUALE SCARPA SCEGLIERE?
La scarpa da running è quindi fondamentale quando decidiamo che è davvero arrivato il momento di iniziare ad allenarci. Se è la prima volta, o pensiamo di fare “Solo un paio di corsette alla settimana”, non cadiamo nell’errore di sottovalutare l’importanza di un’adeguata calzatura.
La scarpa da running giusta è importante, perché deve rispondere a due requisiti: il primo è sollecitare la risposta elastica del piede, sfruttando al massimo la corsa; il secondo invece è attutire nella giusta misura, l’impatto del piede con il terreno evitando così i traumi che ne conseguono.
Nella prima fase il piede atterra al suolo e parte dell'impatto è ammortizzato dalla scarpa. A seconda del tipo di terreno e della scarpa, una parte dell'energia d'impatto viene restituita (energia elastica); l'altra dobbiamo mettercela noi per continuare a mantenere la stessa velocità (è per questo che si fa fatica: se tutta l'energia d'impatto ci fosse restituita, basterebbe fare il primo passo e si correrebbe all'infinito). Da questo discorso capiamo una cosa: la scarpa con il miglior ammortizzamento, non rappresenta, sempre, la miglior scelta proprio perché più energia viene assorbita dalla scarpa più fatica si fa nella corsa, di conseguenza maggiore è lo sforzo muscolare per mantenere la velocità desiderata (maggior traumatismo a livello muscolare e tendineo).
Pensiamo alla corsa sulla sabbia: è il terreno con il maggior ammortizzamento possibile ma proprio per questo ha il minor ritorno elastico. Si fa si più fatica (il dispendio energetico è circa doppio rispetto all’asfalto), ma si sollecita maggiormente tutto l’apparato muscolo-scheletrico inferiore.
Altro fattore da prendere in considerazione è quello del peso, sia dell’atleta che della scarpa. Gli atleti vengono classificati in tre categorie: leggero sotto i 60 Kg, medio tra 60 e 75 Kg, pesante oltre i 75 Kg. Il peso della scarpa è importante perché 100 gr in più ai piedi corrispondono a 500 gr in più in vita.
APPOGGIO PLANTARE
Come appoggiamo il piede?
Rispondere a questa domanda è assolutamente fondamentale nella scelta della scarpa, perché dall’appoggio dipendono anche gli altri requisiti base.
Quando il peso del nostro corpo, dopo la fase di volo in cui lo alziamo dal suolo, si scarica sul terreno a noi sottostante, l’arco plantare e la pianta del piede tendono ad avere un cedimento verso l’interno con un effetto di ammortizzazione naturale e successivo rilascio di energia elastica. Questo tipo di appoggio è detto appoggio neutro o pronazione fisiologica. Se invece la pronazione è superiore all’elasticità parliamo di un iperpronatore, e se è inferiore di un ipersupinatore.
PRONAZIONE ECCESSIVA (IPERPRONAZIONE O PIEDE PIATTO) - Una pronazione eccessiva fa sì che il piede continui a ruotare dopo l’impatto sul terreno invece di cominciare la fase di spinta. Questo causa una tensione eccessiva al piede, alla zona tibiale e al ginocchio e può causare dolore in queste aree. Chi corre in questo modo potrà riscontrare un’usura eccessiva sul lato interno delle calzature, che saranno inclinate verso l’interno se appoggiate su una superficie piana.
Se rientriamo in questa categoria dobbiamo indossare calzature dalla forma diritta o comunque con una curvatura poco accentuata. Scarpe specifiche in grado di controllare la stabilità della corsa, con suole multidensità e altre caratteristiche contro la pronazione sono la scelta ideale. Infine, poiché questa impostazione erronea provoca tensione e rigidità muscolare, fate stretching.
SUPINAZIONE ECCESSIVA (IPERSUPINAZIONE O PIEDE RIGIDO) - Un eccesso di supinazione causa una rotazione insufficiente del piede dopo l’impatto sul terreno. Questo provoca una tensione eccessiva al piede e può provocare l’infiammazione del tendine d’Achille e fascite plantare.
Le scarpe avranno un’usura accentuata nella parte laterale esterna; collocate su una superficie piana risulteranno inclinate verso l’esterno.
Se rientriamo in questa categoria dobbiamo indossare calzature adeguate al problema specifico, possibilmente leggere, in modo da consentire una maggiore libertà di movimento al piede. È importante anche la flessibilità della zona centrale interna della calzatura. Anche in questo caso lo stretching è utile soprattutto per polpacci, tendini del ginocchio e quadricipiti.
CLASSIFICAZIONE DELLE SCARPE DA RUNNING
Le scarpe da running utilizzano un tipo particolare di classificazione adottata da tutte le riviste italiane del settore, proviamo a spiegarla.
A1 - SUPERLEGGERE: si tratta di scarpe molto leggere e veloci. Hanno una forma curva e un peso ridotto, massimo 250 grammi e presentano un dislivello ridotto tra il tallone e l’avampiede. Il loro fondo è generalmente piatto e sono state pensate per una funzione ammortizzante molto limitata. Ottime per una gara. Permettono una grande flessibilità e un’ottima risposta reattiva. Sono sconsigliate ai pronatori.
A2 - INTERMEDIE: sono scarpe che presentano una discreta leggerezza ma un peso diciamo tra i 250 e i 290 grammi. Sono un ottimo compromesso tra controllo del movimento del retro del piede e una maggior flessibilità ed elasticità dell’avampiede. Presentano una forma semicurva e un dislivello medio. La loro funzione di ammortizzamento è buona, in alcuni casi sono dotate di supporti di controllo del movimento il cui intervento è comunque limitato. Gli atleti più in forma e quelli leggeri possono usare questo genere di scarpe anche per gli allenamenti. I podisti più pesanti o i meno veloci le possono utilizzare come scarpe da gara.
A3 - MASSIMO AMMORTIZZAMENTO: a questa categoria appartengono quelle scarpe il cui peso oscilla tra i 300 e i 400 grammi senza mai superarli. La loro forma è semicurva o dritta, con un dislivello che mira a salvaguardare i tendini e le articolazioni da possibili infortuni. Il controllo del movimento è stato sacrificato per offrire un ottimo effetto di ammortizzamento e una buona flessibilità. Questi modelli sono quelli più usati dai podisti negli allenamenti e, di norma, sono i più indicati per qualsiasi chilometraggio (da 2 a 100 km a piacere). Sono l'ideale per gli atleti con l'appoggio neutro o in inversione (piede rigido). Inoltre, il 90% dei corridori che utilizzano plantari personalizzati usano scarpe di questa categoria.
A4 - STABILI: sono scarpe con peso tra i 300 e i 400 grammi e forma dritta. Sono pensate per chi soffre di piede piatto (iperpronatori alcuni modelli sono indicati anche per i pronatori lievi) e tende a rovinare le calzature piegandole verso l’interno. Nei modelli con il peso più vicino ai 300 grammi si verifica un buon compromesso tra ammortizzamento e stabilità. Resistono ai movimenti del piede sull'asse longitudinale mediano senza che si verifichi una deformazione permanente nella loro struttura. In alcuni modelli di peso contenuto si può trovare un buon compromesso tra ammortizzamento e stabilità. Tutte le scarpe di questa categoria sono decisamente sconsigliate ai supinatori.
A5 – TRAIL RUNNING: scarpe per la corsa fuori strada che si pratica in completa libertà sui viottoli di campagna, i sentieri dei boschi, i greti dei torrenti, le dune del deserto, per questo le scarpe devono essere "speciali". Le calzature di questa categoria sono infatti dei piccoli carri armati, leggeri ma indistruttibili, capaci di garantire il massimo della prestazione anche sui fondi più scivolosi e difficili. La suola deve avere un disegno che non trattiene la terra ed è realizzata in materiali che assicurano aderenza anche sul bagnato e con le basse temperature. · L'intersuola, oltre a proteggere il piede dalle asperità del terreno, deve assicurare una buona ammortizzazione. La tomaia è studiata per contenere bene il piede ed essere rinforzata nei punti dove possono verificarsi impatti, come ad esempio sulla punta. La calzata dev'essere perfetta, il piede non deve assolutamente "ballare" e la scarpa deve dare una sensazione di tenuta.


Riepilogo classificazione scarpe da running


QUANTO DURA UNA SCARPA DA RUNNING?
Ogni atleta è diverso sia sotto l’aspetto fisico (peso) che sotto l’aspetto morfologico (tipo di corsa), per questo non è possibile quantificare a livello assoluto la durata di una scarpa, possiamo però indicare valori (per scarpe di qualità medio-alta) chilometrici oltre i quali non è consigliabile andare.
Gli esperti del settore, sostengono che la relazione fra durata di una scarpa e la sua tipologia sia attualmente la seguente:
A1 - da 150 a 300 km
A2 - da 250 a 500 km
A3/A4 - da 500 a 1.000 km
Quindi la durata di una scarpa da running non può superare i 1.000 km. Questa distanza si può convenzionalmente assumere come distanza critica: è una distanza massima, che può ulteriormente diminuire in particolari circostanze.
TOMAIA, SUOLA,INTERSUOLA: i sistemi di ammortizzamento e i materiali impiegati dalle aziende leader permettono oggi di dire che se uno dei tre componenti esterni della scarpa si degrada troppo presto, il modello è decisamente sbagliato rispetto al runner. In altri termini, se la tomaia si fora, se dopo 100-200 km l'intersuola non è più reattiva o se il battistrada è decisamente usurato prima della distanza critica, dovete probabilmente rivolgervi a un altro tipo di scarpa.
CLIMA: i materiali con cui sono costruite le scarpe possono essere meccanicamente molto resistenti, ma termicamente lasciano un po' a desiderare. Il poliuretano è sensibile alle basse temperature, mentre il gel alle alte. Idealmente la temperatura della scarpa dovrebbe stare fra i 5 e i 25 °C, ma, anche se il runner osserva questo intervallo, non si può essere certi che lo stoccaggio nei magazzini prima della vendita non abbia fatto danni. Per questo motivo vecchi modelli dati in offerta possono essere molto più "rischiosi" di modelli appena usciti sul mercato.
LAVAGGIO E ASCIUGATURA: l'impiego della scarpa d'inverno o d'estate in genere non è particolarmente stressante perché raramente si corre con temperature veramente critiche (sotto zero o sopra i 35 °C); di solito è più stressante il lavaggio in lavatrice (anche a 30 °C) e la successiva asciugatura vicino a fonti di calore non sufficientemente schermate. Le scarpe andrebbero lavate con acqua fredda, a mano e fatte asciugare a temperatura ambiente, semmai in luogo ventilato.
In conclusione, comprate scarpe adatte al tipo di allenamento che volete fare e non fatevi fuorviare dal prezzo o dall’estetica, considerate che sono il mezzo che vi evita infortuni e vi permette di eseguire la corsa nel miglio modo possibile. Se non sapete che tipo di appoggio plantare avete, rivolgetevi ad uno specialista o chiedete al vostro medico di base l’esame medico specifico.
Se vi rimangono ancora dei dubbi, rivolgetevi ad un negozio specializzato in scarpe da running (non alla grande distribuzione mi raccomando) perché sicuramente sapranno darvi i giusti consigli, guidandovi nella scelta.
A questo punto non mi rimane che augurarvi, buon allenamento!
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sabato 10 marzo 2012

Attività sportiva nel bambino

L’educazione alla pratica dell’attività fisica deve iniziare fin da bambini, attraverso un approccio di tipo ludico in modo da fare avvicinare il bambino allo sport con divertimento. E’ fondamentale, per  il bambino, che anche i genitori pratichino attività sportiva (di qualunque tipo essa sia) in modo da stimolarli, creando un senso di emulazione verso i genitori.
Se riusciamo in questo intento, creiamo nei nostri figli un’abitudine allo sport che difficilmente verrà abbandonata nel corso del tempo perché diventerà parte integrante della loro giornata; l’importante è non obbligarli (evitiamo di voler creare dei campioni ad ogni costo). Se la pratica da divertimento passa ad imposizione roviniamo tutto, ricordatevi che i campioni si formano perché praticando sport con divertimento il bambino tira fuori il meglio di se senza nessuna fatica (i campioni con la C maiuscola sono “baciati” dalla natura e non nascono tutti i giorni).
Non va dimenticata l’alimentazione, uno sportivo di buon livello ottiene risultati se si alimenta nella giusta maniera, anche in questo caso le corrette abitudini portano solo vantaggi. Abituiamo i bambini ed i ragazzi a non assumere integratori, nella maggior parte dei casi non servono, se la pratica sportiva è sorretta da un’adeguata alimentazione, diffidiamo dagli allenatori che ritengono necessaria l’assunzione di qualunque tipo di “extra” alimentare. Se vediamo che nostro figlio “accusa” gli allenamenti rivolgiamoci sempre ad uno specialista, in questo caso un medico nutrizionista (mi raccomando che sia laureato in scienze dell’alimentazione), vedrete che per risolvere il suo senso di fatica vi modificherà l’alimentazione ottimizzandola sullo sport che pratica.
Per fare capire il perché l’attività fisica è importante fin da piccoli, riporto i dati provenienti dalla “Relazione sullo stato sanitario del Paese 2001-2002” riguardanti l’attività fisica dove emerge un preoccupante andamento: aumenta il numero dei sedentari e tale fenomeno assume particolare rilievo nelle fasce di età giovanile.
E ‘ stata documentata una spiccata riduzione del numero di ragazzi praticanti un’attività sportiva e tra i giovani di 18-19 anni, la quota di persone completamente inattive, pari a 18,1% nel 1997, ha raggiunto il 24,3% nel 2001.
Anche nella fascia di età tra i 6 e i 10 anni aumentano i comportamenti sedentari, più di un bambino su 5, pari al 21,6%, non svolge alcuna attività fisica nel tempo libero, nel 1997 la percentuale era del 17,1%.
Con l’aumentare dell’età e del grado di scolarità diminuisce la percentuale di sportivi abituali a tal punto che solo il 29% tra i 35 e i 44 anni si muove regolarmente.
Come vedete, da questi dati viene fuori che la pratica sportiva non è diffusa nel nostro paese ed è un peccato perché la pratica regolare, non necessariamente intensa, apporta solo dei benefici.
Basti pensare che con almeno 15-20 minuti di attività aerobica al giorno (senza arrivare alla pratica quotidiana, possiamo abituarli ad eseguire sport almeno 2/3 volte le settimana per un tempo non inferiore ai 60 minuti), i bambini e ragazzi riescono a:
- mantenere sani ed efficienti il tessuto osseo e le articolazioni
- costruire delle buone masse muscolari
- ridurre il grasso corporeo
- mantenere un buon peso
- prevenire lo sviluppo di pressione alta e aiutare la diminuzione della pressione negli adolescenti con ipertensione
- migliorare le capacità di apprendimento.
L’ultimo punto è emerso in uno studio che mostra la correlazione tra sport e l’apprendimento. I risultati finali della ricerca hanno evidenziato che bambini che svolgono, oltre all’attività intellettuale, anche quella fisica hanno lo stesso rendimento scolastico dei bambini che hanno studiato un’ora in più, evidenziando una maggior capacità di apprendimento in alcune particolari discipline come, ad esempio, la matematica.
L’attività motoria assume, inoltre, un ruolo decisivo sia come canale di sfogo della naturale esuberanza, sia come formazione ed educazione generale, migliorando l’adattabilità del ragazzo agli impegni quotidiani, consentendo un buon controllo emotivo, una migliore autostima e aumentando la capacità di socializzazione. In questo sono fondamentali gli sport di squadra dove oltre alla parte atletica il bambino impara a convivere, fidarsi, rispettare i suoi compagni di squadra, abitudini che diventano utili e necessari sia nella vita scolastica che quotidiana.
Se a tutto ciò si aggiunge l’efficacia indiscussa di un’attività sportiva sulla salute fisica, è chiaro che lo sport risulta utile sin dai primi anni d’età.
A questo punto ai genitori sorgono almeno due domande: verso quale tipo di sport indirizzo mio figlio? Qual è lo sport migliore sotto l’aspetto dello sviluppo?
Normalmente si cerca uno sport “completo”, ma non esiste uno sport “omnicomprensivo” perché ogni tipo di attività fisica ha le proprie caratteristiche che stimolano l’apparato muscolo-scheletrico del bambino in modo diverso.
Normalmente identifichiamo nel nuoto lo sport completo per eccellenza (sotto l’aspetto muscolo-scheletrico è il massimo nello sviluppo del bambino), ma non è corretto perché alcune qualità quali l’abilità di coordinare il corpo rispetto allo spazio circostante (la propiocettività),  la capacità di saltare, correre o lanciare oggetti e la capacità di socializzare e di lavorare insieme agli altri per un obiettivo comune, non vengono sviluppate.
Allora, quale sport devo scegliere per mio figlio?
Per prima cosa dobbiamo vedere se la richiesta di svolgere uno sport in particolare arriva dal bambino o dal genitore. Solitamente i bambini hanno voglia di muoversi, molto spesso i genitori lo indirizzano verso una disciplina comoda a loro sotto l’aspetto organizzativo. Un consiglio, non cadete in questo errore, imponendo lo sport al bambino il più delle volte si ottiene l’effetto contrario: odiare l’attività fisica in generale.
Quando il vostro bambino “vuole” quello sport, assecondatelo ed al limite aiutatelo nella scelta e se succede che la scelta non piace, non c’è problema, cambiate tipo di sport oppure associazione sportiva. Il più delle volte “l’odio” del cucciolo verso quella pratica sportiva deriva dall’incapacità dell’allenatore, allenare i bambini non è facile perché l’approccio deve essere sempre positivo e propositivo.
Per questo anche la scelta della società sportiva a cui ci rivolgiamo è importante, indirizziamoci verso gruppi sportivi che hanno esperienza con i bambini, perché gli obbiettivi che fanno raggiungere ai loro piccoli iscritti è merito degli allenatori che hanno. Sicuramente ottengono questi successi perché i bambini nei loro corsi si divertono e divertendosi imparano più facilmente, senza imposizioni o fatica ma al contrario riescono a percepire l’agonismo come divertimento e non come un obbligo.
Ai fini della scelta dell’attività fisica è necessario anche considerare il fattore auxologico (l’auxologia studia e cura la crescita fisica della persona nell'età evolutiva), tra i 5 e i 6 anni nel bambino c’è il primo allungamento, che consiste in una spinta in lunghezza che interessa soprattutto l’apparato osseo, più che quello muscolare e che si incentra soprattutto nelle gambe. Accade quindi che lo scheletro aumenti di peso, le leve ossee si allunghino senza che vi sia, però, un adeguamento della forza muscolare. La colonna vertebrale può tendere ad incurvarsi, dando origine ad attitudini quali la cifosi e la scoliosi, soprattutto quando lo sviluppo non è perfettamente simmetrico sul lato sinistro e su quello destro del corpo, ecco perché è consigliabile scegliere sport simmetrici evitando quelli asimmetrici che sviluppano solo un lato del corpo a discapito dell’altro. Dai 7 anni incrementa la capacità respiratoria, quindi la colonna vertebrale e la gabbia toracica soffrono particolarmente se manca un’adeguata attività fisica. Dagli 8 anni, invece, c’è un certo aumento della massa e della forza muscolare che, se oculatamente guidata, porta a supplire alle carenze dei periodi precedenti.
In conclusione non vi dirò mai scegliete questo sport invece di quello, ma vi posso dare alcuni consigli per aiutarvi nella scelta:
- parlate con vostro figlio per capire cosa desidera ed aiutatelo nella scelta perché nessuno meglio di voi genitori consce il vostro bambino;
- scegliete polisportive che abbiano una ottima esperienza nell’approccio con i bambini, per sapere questo informatevi anche da altri genitori per sapere le loro esperienze;
- quando avete scelto l’indirizzo sportivo e la società sportiva, andate a conoscere di persona l’allenatore in modo da capire chi è e qual è il suo “pensiero sportivo”,  considerate che sarà la persona che crescerà vostro figlio nello sport;
- tutti gli sport fanno bene e tutti gli sport fanno male, è come vengono insegnati che fanno pendere l’ago della bilancia verso l’una o l’altra parte (ecco perché l’allenatore è importante);
- scegliete sport simmetrici ovvero sport che sviluppano simultaneamente entrambi i lati del corpo.
A questo punto non mi resta che augurarvi, a voi genitori ed ai vostri cuccioli, buon allenamento con tanto divertimento.
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giovedì 23 febbraio 2012

Insegnamenti e consigli errati nel fitness ovvero i falsi miti

Quante volte in palestra l’istruttore vi sottopone allenamenti per gli addominali alti e addominali bassi?
In quanti il giorno seguente un allenamento, accusando dolore muscolare, si sono sentiti dire: “E’ l’acido lattico”
Quando si chiede un allenamento per dimagrire, in quanti si sono sentiti rispondere: “Per dimagrire bisogna sudare”.
Ecco alcuni degli insegnamenti errati che vengono dati dai professionisti del settore; con questo articolo proviamo a fare chiarezza su alcuni punti fondamentali.

ADDOMINALI ALTI, ADDOMINALI BASSI
È una delle affermazioni, errate, più diffuse nel settore del fitness (soprattutto da parte degli addetti ai lavori). La possibilità di allenare in modo distinto la parte alta e la parte bassa dell’addome è una pratica impossibile da realizzare, la muscolatura addominale è composta da un unico muscolo conosciuto come retto addominale; l’unica separazione è possibile farla tra le due metà destra e sinistra.




L’affermazione di addominali alti ed addominali bassi, nasce dalla sensazione di affaticamento localizzato nella parte alta o bassa dell’addome durante l’esecuzione di alcuni esercizi. Solitamente questa sensazione coinvolge la parte bassa quando dalla posizione supina solleviamo le gambe, in questo modo stimoliamo le fibre e sottolineo fibre muscolari basse (questo è dovuto alla postura scorretta che si assume) ma sforziamo in modo innaturale la schiena. Questa pratica è inutile, il retto addominale non avendo di inserzione sulla struttura femorale rende questo tipo di lavoro impossibile.
Quando alleniamo gli addominali attraverso il crunch (l’unico esercizio che non comporta nessun sovraccarico sulla schiena e permette di allenare l’addome attraverso la compressione) la sensazione di affaticamento localizzato nella parte alta è dovuta a due fattori, l’esecuzione non corretta dell’esercizio o la respirazione errata.
Comunque se volete capire come lavora il retto addominale, quando eseguite il crunch, tenete una mano sulla pancia, sentirete che tutta la muscolatura si contrae senza differenza tra parte alta e bassa.
Allenare gli addominali è importante per una corretta postura, infatti più sono “forti” meno la schiena viene sollecitata nella pratica quotidiana. Altro discorso è “l’addome piatto”; per ottenere questo risultato è necessario abbinare la pratica aerobica all’allenamento del retto addominale, quest’ultimo deve essere eseguito sulla resistenza (unica serie composta da molte ripetizioni) perché alleniamo un muscolo composto da fibre muscolari rosse a contrazione lenta.
Infine una domanda: “Perché il grasso si accumula nella parte addominale?”.
In questa zona sono disposti un numero di adipociti (le cellule specializzate nell’accumulo adiposo) maggiore rispetto ad altre parti del corpo. Probabilmente perché questa regione coincide con la presenza di importanti strutture organiche interne, che non possono beneficiare di una protezione da parte di strutture ossee. La presenza del grasso consente quindi sia una riduzione di traumi meccanici che una minore dispersione del calore.
CRAMPI E CARENZA DI POTASSIO
Solitamente si associa la comparsa dei crampi alla carenza di potassio, per chiarire questo concetto possiamo usare la seguente frase: se è vero che tutte le carenze di potassio possono manifestarsi con dei crampi muscolari, non è altrettanto vero che tutti i crampi muscolari siano originati da una carenza di potassio.
Vediamo cos’è e come si origina un crampo nella pratica dell’attività fisica. Il crampo muscolare è un dolore spesso intenso che si verifica quando si ha una contrazione involontaria del muscolo, spesso violenta ed improvvisa. Le cause sue cause possono essere diverse.
Nei soggetti sedentari possono essere originati da problemi circolatori, in alcuni casi dovuti a posture che ostacolano il flusso sanguigno. Anche l’uso di diuretici può favorire la comparsa dei crampi al pari di una sudorazione copiosa.
In soggetti sportivi, anche agonisti, l’insorgere di crampi muscolari è quasi sempre da attribuire ad un marcato affaticamento, a copiose diminuzioni di glicogeno muscolare e ATP e carenze di elettroliti (soprattutto sodio e potassio), conseguenza di un errato reintegro idrosalino necessario in presenza di sudorazione eccessiva.
Tuttavia è bene sottolineare che per limitare l’insorgere dei crampi è necessario alimentarsi in modo corretto (impariamo a consumare frutta e verdura), reidratarsi costantemente e calibrare il carico di lavoro. Per questo poniamo la massima attenzione all’utilizzo degli integratori idrosalinici (soprattutto quelli venduti nei supermercati), consumarli in abbondanza e quando non necessario può portare a scompensi fisiologici.
Praticare attività fisica in prossimità di un pasto può favorire la comparsa dei crampi. Il sangue viene richiamato nella regione addominale e, il limitato afflusso nella muscolatura periferica, può determinare l’insorgere di contrazioni muscolari di tipo involontario. Anche l’utilizzo di abbigliamento o accessori che ostacolano la corretta circolazione sanguigna favoriscono la comparsa dei crampi
Discorso a parte sono i crampi notturni, non essendo originati da affaticamento muscolare possono essere ricondotti alla carenza di potassio o alle posizioni che si assumono durante il sonno: ad esempio quando il piede si trova in flessione plantare. In questo caso il polpaccio non è in grado di svolgere la sua azione fisiologica e, lo sforzo che si determina nella contrazione, favorisce l’insorgere del crampo.
ACIDO LATTICO O DOMS?
L’acido lattico è un sottoprodotto dell'attività anaerobica dei muscoli: da questi si riversa nel sangue, attraverso il quale raggiunge cuore, fegato e muscoli inattivi, dove viene riconvertito in glucosio.
Durante un esercizio fisico intenso e prolungato, può accadere che i muscoli producano nel tempo più acido lattico di quanto gli organi sopracitati ed i restanti muscoli inattivi riescano a metabolizzare; in questo caso, la concentrazione di acido lattico nel sangue aumenta fino al punto in cui non è più possibile che venga smaltito. Per questo motivo compaiono i noti effetti di affaticamento e successiva incapacità locale allo sforzo, talvolta accompagnati da bruciore. Per via del suo ciclo metabolico, una volta che i muscoli hanno ripreso la loro normale attività aerobica, e che il livello in circolo nel sangue è sceso sotto la soglia critica di concentrazione, l'acido lattico viene immediatamente eliminato dal circolo sanguigno (nel giro di qualche decina di secondi o di pochi minuti), e larga parte di quanto se n'era accumulato nei muscoli attivi viene rapidamente smaltito, tutto questo avviene al massimo entro due ore circa dal termine dell'attività fisica.
Solo una piccola parte permane all'interno del muscolo, sempre a seguito di attività anaerobica, ed è nota come "scoria naturale della contrazione muscolare".
Come avete visto, i sintomi della presenza di acido lattico provocano affaticamenti e non vanno confusi con l’indolenzimento o dolore il giorno seguente all’allenamento. Quest’ultimi sono definiti
indolenzimento muscolare ad insorgenza ritardata, o D.O.M.S. (Delayed Onset Muscle Soreness), i cui effetti colpiscono solo i muscoli scheletrici, ed insorgono 12 e le 72 ore circa dallo sforzo fisico intenso, perdurando anche per 5-6 giorni consecutivi.
L’insorgenza del dolore è imputabile a delle micro-lacerazioni del tessuto muscolare che hanno origine nella fase eccentrica di un movimento, ecco spiegata la causa del dolore che si accusa.
Questo fenomeno si verifica in soggetti generalmente non allenati ad un determinato movimento e, per questo motivo, effettuano sforzi di resistenza alla contrazione del muscolo: ciò si verifica, ad esempio, piegando le ginocchia nell'atterrare dopo un salto (sforzo di resistenza alla contrazione del muscolo quadricipite).
I D.O.M.S. colpiscono, solitamente, anche i bodybuilder dopo ogni seduta di allenamento; il fenomeno viene considerato positivo, in quanto è la conferma dell'efficacia del lavoro svolto.
Nei principianti, bisogna prestare maggiore attenzione perché molte volte i dolori che vengono avvertiti non sono D.O.M.S., ma micro-strappi dovuti al carico di lavoro eccessivo.
Quando iniziate a praticare qualsiasi tipo di attività fisica, cercate anche di capire le reazioni del vostro corpo, in modo da “passare” queste sensazioni all’allenatore che sarà così in grado di calibrare al meglio l’allenamento.
SUDARE PER DIMAGRIRE
Sudare non equivale a dimagrire, ma a perdere liquidi per effetto del sistema di termoregolazione dell'organismo. Durante un allenamento, lo svolgimento di un lavoro o solamente rimanendo all’interno di ambienti caldi o umidi, il corpo aumenta la sua temperatura. Se l’innalzamento della temperatura corporea diventa importante, entra in gioco il sudore che evita il nostro surriscaldamento (è la stessa funzione del radiatore nell’auto).
Pertanto l’idea di dimagrire tramite la sudorazione è sbagliata, fortunatamente in questi ultimi anni si sta perdendo l’abitudine di “insalamarsi” in K-Way o simili orpelli. Dico fortunatamente perché questo tipo di abitudini, ostacolano gravemente le funzioni di termoregolazione del corpo, con possibili gravi conseguenze; la sudorazione infatti può efficacemente contrastare l’aumento di temperatura corporea solo se è consentita la sua evaporazione.
Durante un’attività aerobica svolta a 30° dobbiamo reintegrare circa 1 litro d’acqua ogni ora di attività,  cali dell’idratazione del 4/5% comportano deficit della prestazione fisica nell’ordine del 10/13%, quindi è fondamentale controllare quanti liquidi si perdono durante l’attività per reidratarsi adeguatamente. Infine perdite d’acqua nell’ordine del 15/25% sono estremamente pericolose.
Dopo queste considerazioni, si evince che è certamente meglio e più proficuo favorire il raffreddamento corporeo, evitando il prematuro insorgere dell’affaticamento. Meno fatica equivale ad un lavoro più lungo, quindi ad un utilizzo maggiore di riserve energetiche e di conseguenza, ad un idoneo dimagrimento, che si ottiene praticando attività aerobica alla giusta frequenza cardiaca.

Prima di concludere, alcune considerazioni veloci.

Per eliminare il grasso sull’addome occorre fare molti addominali. FALSO
Non è possibile ottenere un dimagrimento localizzato attraverso esercizi specifici. La riduzione del grasso corporeo si ottiene eseguendo attività aerobica alla giusta frequenza cardiaca e controllando l’alimentazione.
Utilizzando i pesi si diventa come i body-builder. FALSO
Sollevare pesi 2-3 volte la settimana, compiendo un solo esercizio per ogni gruppo muscolare e limitandosi nei sovraccarichi, non causa ipertrofia ma serve ad ottenere una tonificazione generale.  Lo sviluppo muscolare dei body-builder è frutto di lunghissimi allenamenti quotidiani con più esercizi per gruppo muscolare e con l’impiego di tecniche specifiche finalizzate all’ipertrofia.
Durante l’esercizio bisogna bere. VERO
Prima, durante e dopo l’esercizio è importantissimo assumere liquidi. Ciò consente di controbilanciare le perdite idriche attraverso la sudorazione e la respirazione.
Un adeguato apporto di acqua è fondamentale per mantenere la temperatura corporea entro limiti di normalità, evitando un eccessivo e pericoloso innalzarsi della temperatura corporea. La reidratazione deve essere costante e non avvenire quando si avverte la sete (sintomo di disidratazione), per questo raccomando sempre di introdurre almeno 500 ml di acqua ogni 30 minuti di attività.
Allenarsi per meno di 1 ora non serve a niente. FALSO
30 minuti, 3-4 volte alla settimana, garantiscono più risultati di 1 ora fatta saltuariamente. La frequenza e la costanza nel tempo sono infatti più importanti della durata dell’allenamento.
Per dimagrire bisogna eliminare totalmente i lipidi dalla dieta. FALSO
Una dieta ben bilanciata deve mantenere comunque una quota di lipidi. I lipidi sono infatti importanti fonti di energia, veicolano alcune vitamine (quelle liposolubili), proteggono gli organi interni, limitano la dispersione di calore e contribuiscono alla formazione di alcuni componenti cellulari e alla produzione di ormoni. Per ottenere un dimagrimento fisiologico e duraturo si deve aumentare la spesa calorica attraverso l’esercizio fisico mantenendo un apporto equilibrato di calorie.
La ginnastica a corpo libero è meglio di quella con pesi o macchine. FALSO
E’ necessario sapere a priori i risultati che vogliamo ottenere ottimizzando il tipo di lavoro da svolgere. Tutto fa bene e tutto fa male, è il “come e il quanto” che permette di raggiungere gli obbiettivi prefissati scegliendo i carichi giusti ed eseguendo i movimenti corretti per minimizzare i rischi e massimizzare il risultato.
Detto questo anche a corpo libero si lavora con un peso, quello corrispondente alla nostra massa corporea, per questo se gli esercizi non vengono eseguiti correttamente si può comunque incorrere in infortuni.
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sabato 4 febbraio 2012

La dieta, l'attività fisica e l'equilibrio psicofisico

Con questo articolo, scritto insieme al Dott. Tesini, cerchiamo di soddisfare la vostra curiosità, sia sotto l’aspetto dell’alimentazione (finalmente vengono spiegati i cardini su cui regge una sana alimentazione) che dell’attività fisica. Interessante anche la parte dedicata alla visita dietologica.

Come siamo?
Come vorremmo essere?
Possiamo modificare il nostro corpo, il nostro aspetto e se sì come?
Difficile dire come siamo, come appariamo a noi ed agli altri. La nostra immagine è il risultato della combinazione di più fattori (benessere fisiologico, psicofisico ed estetico) e ciò sta a significare quanto sia difficile piacersi solamente nell’aspetto esteriore in mancanza del benessere psicofisico.
Tali preamboli sono uno strumento per fare chiarezza sul significato di “equilibrio corporeo” e del suo contrario e come sia complesso e semplice allo stesso tempo, raggiungere tale obiettivo.
Come possiamo arrivare a tale risultato?
L’attività fisica, l’alimentazione e l’interesse verso il mondo esterno, sono i principali strumenti per condurci al giusto equilibrio interiore ed esteriore.
Oggi, nel nostro mondo caratterizzato da velocità e preoccupazioni, mantenere o raggiungere un tale equilibrio è sicuramente un compito oneroso affrontabile esclusivamente dedicando uno spazio anche limitato, ma costante, a se stessi ed imparando a conoscere gli strumenti disponibili e gli accessi da evitare.
Concentrandoci sull’alimentazione e l’attività fisica, separeremo questi  punti in momenti differenti.
ALIMENTAZIONE
La nutrizione si avvale dell’apporto di nutrienti maggiori (glucidi o zuccheri, protidi o proteine, grassi o lipidi), nutrienti minori (vitamine, sali minerali e metalli) ed acqua.
Durante le giornate lavorative, di riposo e dedicate all’attività fisica, dobbiamo garantire una adeguata fornitura di nutrienti in relazione alle richieste psicofisiche del nostro corpo.
Il nostro metabolismo, espressione del funzionamento degli organi vitali, viene definito come metabolismo basale e totale, a seconda che ci riferiamo alle condizioni minime di consumo (consumi assolutamente necessari per la vita) e totale, dove la differenza è variabile in relazione alla differenti richieste giornaliere.
Premesso quanto sia difficile ed in ultima analisi solamente ipotizzabile il calcolo delle esigenze nutrizionali giornaliere, ci si può avvicinare con ragionevole approssimazione a tale valutazione, quantificando il tipo e la durata delle attività fisiche e lavorative. Tali misure sono ottenibili con una accurata anamnesi e con l’ausilio della calorimetria diretta ed indiretta.
La giornata, sarà quindi classicamente suddivisa in pasti di importanza minore (colazione ed eventuali breaks) e maggiore (pranzo e cena).
Mentre riteniamo la colazione un aspetto soggettivamente molto importante e legato quasi esclusivamente a gusti ed abitudini e quindi poco o scarsamente modificabile, possiamo intervenire sulle scelte relative ai pasti maggiori, prediligendo l’utilizzo dei monopiatti (un pasto a base di carboidrati quali pasta o riso o pizza ed uno composto dai secondi piatti, associati al contorno al pane o alle patate).
I pasti principali potranno essere consumati indifferentemente a pranzo o a  cena, pur considerando i differenti tempi di assorbimento, tempi che rendono più facilmente digeribile un primo rispetto al secondo piatto.
La suddivisione in monopiatti ci rende possibile limitare o comunque razionalizzare l’introito di nutrienti, rendendo più semplice il controllo delle calorie. Il difetto maggiore del pasto completo (primo, secondo, contorno, pane e frutta) è infatti il controllo delle quantità e dei grassi di condimento e cioè la facilità di incorrere in eccessi di calorie e di conseguenza di appesantimento postprandiale con conseguente probabile aumento del peso.
I pasti, la loro semplicità ed in antitesi complessità, hanno una notevole influenza sul benessere e sull’equilibrio fisico-nutrizionale dell’individuo; sentirci appesantiti, imbastiti, non si limita alla semplice sensazione di appesantimento, ma comporta un notevole sovraccarico digestivo in generale, cardiovascolare ed epatico in particolare. Paradossalmente anche un giorno di digiuno oppure l’abitudine di saltare un pasto, comporta uno squilibrio ed un continuo adattamento del nostro organismo ai difetti o agli eccessi nel caso consumo  di cibo.
LA VISITA DIETOLOGICA (IN COSA CONSISTE E COME SI SVOLGE)
- Impostazione della cartella clinica con anamnesi patologica prossima e remota (intervista sulle eventuali malattie passate e/o recenti).
- Anamnesi alimentare (intervista alimentare improntata sulle abitudini, il gusto e le necessità personali). Tale intervista è la base per la costruzione della dieta personalizzata.
- Visita medica generale
- Indagini mediche specifiche:  - Altezza (Statimetri SECA e WUNDER)
                                              - Peso corporeo (Bilancia BIOSPACE  a celle di carico con 8
                                                  elettrodi e valutazione del tessuto muscolare ed adiposo
                                                  segmentari)
                                              - Misura del tessuto adiposo viscerale BIA (TANITA VISCAN)
                                              - Misura Ecografica del tessuto adiposo sottocutaneo
                                                  (ecografia con scansione lineare)
                                              - Analisi antropometrica corporea con Scanner 3D Artec
                                                  con misurazione e confronto di distanze, circonferenze
                                                  aree e volumi corporei
                                              - Analisi posturale statica, dinamica e stabilometrica
                                                  (Gaitview alFOOTS)
                                              - Calorimetria diretta (BodyMedia)
                                              - Spirometria ed Ossimetria (MIR)

Studio degli obiettivi raggiungibili, preparazione e consegna dello schema alimentare con tipologia giornaliera oppure a scelte multiple.
Valutazioni periodiche delle modifiche corporee e variazioni degli schemi dietologici.
Preparazione delle tabelle di mantenimento del peso corporeo al raggiungimento degli obiettivi.
Tali metodiche vengono applicate per pazienti di ogni età, in condizioni di buona salute e per condizioni fisiologiche (adolescenza, gravidanza ecc.), o patologie specifiche.
Formulazione di allenamenti personalizzati per qualsiasi sport (professionistici ed amatoriali - aerobici e di potenza), con valutazione dei progressi sia aerobici che muscolari.
Utilizzo dei mezzi di indagine medica per stabilire la corretta composizione corporea (acqua, muscoli, ossa) in relazione allo sport praticato.
Preparazione di tabelle alimentari (compresi integratori) per qualsiasi sport, in funzione alla preparazione atletica.
Utilizzo di test a corpo libero per evidenziare la situazione a livello di elasticità muscolare ed abbinare l'attività fisica più idonea.
ATTIVITA’ FISICA
L’attività fisica va impostata in modo sistematico e con tempi prestabiliti, prediligendo il tipo aerobico (corsa, bicicletta e nuoto) ed abbinandola ad una adeguata integrazione nutrizionale.
L’attività aerobica ci permette di consumare in modo regolare le nostre riserve energetiche e di non sovraccaricare la funzionalità cardiaca e metabolica (tale concetto è valido solamente in presenza di attività aerobica adeguata alla persona e non estrema).
L’organismo con questo modello di allenamento, riesce ad equilibrare in modo semplice e veloce, le richieste di energia e l’eliminazione dei cataboliti: radicali liberi, acido lattico ecc, prodotti durante lo sforzo. Per ottenere questi risultati è necessario ottimizzare il metabolismo aerobico allenandosi per non meno di 30’ ad un ritmo cardiaco (da ora in poi chiamata frequenza cardiaca o FC) allenante, dal 60% all’80% della FC massima; per ricavare questo dato basta applicare la seguente formula: 220-età = FC max. Il risultato (FC max) va moltiplicato per 0,60 e per 0,80, i due valori rappresentano la training zone. Questi valori devono essere controllati, durante l’attività fisica, con l’ausilio di un cardiofrequenzimetro e la durata dell’allenamento deve partire dal momento in cui si raggiunge il valore minimo della training zone.
La pratica aerobica deve essere continuativa e regolare perché  l’attivazione e l’ottimizzazione del metabolismo aerobico vengono migliorate nel tempo. Praticare attività aerobica 3 volte la settimana ad una FC del 70% per un tempo non inferiore ai 30’ permette di innalzare il metabolismo basale fino al 30%.
L’energia è fornita da una miscela di grassi e carboidrati, le proteine vengono coinvolte in maniera marginale se l’attività non diventa eccessiva e non eccedere è molto importante (se si è interessati a bruciare grassi) perché con l’eccesso, FC > 85%, si passa dal metabolismo aerobico a quello anaerobico lattacido. Se l’obbiettivo è perdere peso (quindi grasso in eccesso) è necessario tenere una FC intorno al 60 - 70% (vedi tabella):

Correlazione tra VO2 e FC

%VO2max   %FCmax         Substrato energetico utilizzato     Finalità 
      35                50               50 % lipidi – 50%  glucidi         dimagrimento 
      48                60               40 % lipidi – 60 % glucidi         dimagrimento 
      60                70               30 % lipidi – 70 % glucidi         potenza aerobica
      73                80               25 % lipidi – 75 % glucidi         max potenza aerobica
      86                90               15 % lipidi – 85 % glucidi         potenza anaerobica lattacida 
    100              100                creatina fosfato                        potenza anaerobica alattacida

Mantenendo una FC intorno al 60 – 70% abbiamo il giusto equilibrio tra calorie e grassi bruciati, questo se siamo interessati alla perdita di peso. Al contrario aumentando la FC si bruciano più zuccheri e meno grassi, il peso si riduce perché si perde più acqua; questo è dovuto al fatto ogni molecola di glucidi che si utilizza è legata a 3 molecole di acqua. Questo è il motivo della repentina perdita di peso quando si inizia una dieta ipocalorica: il corpo all’inizio si “sgonfia” perché si ha un calo nell’assunzione di zuccheri.
Tutto questo non sta a significare che le calorie non si bruciano (più l’attività è elevata più calorie si bruciano), ma bisogna anche capire il risultato che si vuole ottenere. Infatti l’attività fisica più idonea si esegue unendo i valori della tabella precedente (Correlazione tra VO2 e FC) e la seguente:

Consumo calorico al minuto in base alla FC max

50 – 60 % 7,7 Kcal/min.
60 – 70 % 8,9 Kcal/min.
70 – 80 % 10,2 Kcal/min.
80 – 90 % 11,5 Kcal/min.
Oltre 90 % 12,8 Kcal/min.


Quindi per perdere peso a riposo si devono verificare le seguenti condizioni:
1 – RIDUZIONE DEL BATTITO CARDIACO A RIPOSO: si ottiene con la pratica continuativa dell’esercizio aerobico.
2 – AUMENTO DEL METABOLISMO BASALE: si aumenta con l’attività aerobica  ma soprattutto con l’aumento della massa muscolare; perché il muscolo essendo vivo si nutre si proteine ma anche dei grassi di scorta. Basti pensare al motore dell’automobile: più la cilindrata è alta più il consumo al minimo è alto.
3 – CONTROLLARE IL CONSUMO DI ZUCCHERI: utilizzare gli zuccheri che servono effettivamente perché quando le riserve di glicogeno sono sature si produce molta insulina che è un potente ormone lipogeno (ormone deputato alla formazione del grasso corporeo). Per questo motivo è consigliabile l’utilizzo di zuccheri a basso indice glicemico o complessi.
4 – CONSUMARE LA GIUSTA QUANTITA’ DI CALORIE: imparare a nutrirsi in maniera corretta e varia attraverso una dieta corretta.
In conclusione, l’allenamento aerobico eseguito in modo costante apporta anche i seguenti benefici:
1 – Innalzamento del metabolismo basale.
2 – Maggiore resistenza nella vita quotidiana.
3 – Più ampi recuperi dopo uno sforzo.
4 – Maggiore afflusso di sangue ed ossigeno a cervello, muscoli ed ossa.
5 – Regolarizzazione della pressione arteriosa e delle pulsazioni.
6 – Minore impegno cardiaco a parità di sforzo.
7 – Produzione di endorfine e relativo stato di benessere.
8 – Eliminazione delle tossine.
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